Credo che questa “Bohéme”, nata nel 2006 nell’ambito di una sinergia tra l’Opera Festival di Bassano, il Teatro Verdi di Padova ed il Teatro Sociale di Rovigo, sia uno degli allestimenti che più hanno girato per ogni angolo d’Italia: ho perso ormai il conto dei luoghi che l’hanno ospitata, ma pian piano solo io sono comunque alla quarta recensione, il che qualcosa vorrà pur dire...
Il regista Ivan Stefanutti, che è anche l’autore di scene e costumi di questa versione del capolavoro pucciniano, l’ha portata ora sulle tavole del Teatro Comunale di Treviso; ma tra breve tempo finirà per approdare, nell’ambito di questa nuova ulteriore coproduzione, al Comunale di Bolzano, all’Aquila di Fermo, ed infine al Comunale di Ferrara.
Rivista nuovamente, ritorna la convinzione di uno spettacolo riuscitissimo e seducente, per quel suo collocarsi in una suggestiva Parigi Anni Trenta – gli anni di René Clair, Robert Doisneau e André Breton – immersa in un delizioso bianco/nero e con costumi di perfetta aderenza cronologica, con molta poesia e con una maniacale attenzione ai dettagli. Attenzione che si palesa subito sin dal quadro iniziale, nel quale mentre Rodolfo e Marcello dissertano dei loro contingenti problemi esistenziali – cioè del freddo cane che attanaglia la loro soffitta – sul panerottolo accanto vediamo il quadretto di due amanti si danno appuntamento; e che poi regna soprattutto nella splendida scena del Café Momus, nella quale la folla, lungi dal muoversi a caso, è composta di tanti siparietti miniaturistici, meritevoli ognuno d’attenzione e perfettamente collegati tra di loro: il via vai dell’oste e dei gruppetti di persone al passeggio, le prostitute che adescano i clienti e litigano tra loro, i giovani marinai in libera uscita, i ragazzini che rubano a Parpignol il taccuino che ha nella tasca posteriore dei pantaloni e poi si fumano beati una sigaretta, il fisarmoniscista che accompagna il ballo delle coppiette e poi il valzerino di Musetta, e via di questo passo.
E indubbio, poi, come Stefanutti imponga a tutti una recitazione naturale e immediata, che rende giustizia non solo alla musica di Puccini, ma anche ad uno dei migliori libretti d’opera che siano mai stati scritti. In questo caso avvalendosi anche della freschezza e della credibilità fisica dei giovani vincitori del XLIII° Concorso Internazionale per Cantanti “Toti Dal Monte”, usciti dalle selezioni del giungo scorso: interpreti ancora acerbi in taluni tratti – il che deve limitare la nostra severità - ma tutti piuttosto promettenti. Il soprano sudafricano Nozuko Teto studia da due anni in Italia con Mirella Freni: gli insegnamenti della grande cantante modenese si avvertono in pieno, nella dolcezza del canto e del fraseggio, che rendono bene la trepida tenerezza di Mimì; la voce non si espande però pienamente in sala come dovrebbe, quasi per una timidezza adolescenziale che pare frenarne talora l’impeto. Matteo Lippi, trentenne tenore genovese - altro allievo dell’accademia CUBEC della Freni - è un Rodolfo che convince nella presenza e nella fresca recitazione, un po’ meno nella voce, luminosa e bella sì, ma affetta da un accenno di vibrato che deve scomparire al più presto. Il coreano Byong Ick Cho – solida e calibrata voce baritonale – mette in mostra un notevole dominio vocale, ed un suono brunito e vigoroso: il bel Marcello che usciva dalle sue corde mi è parsa senz’altro la figura più coerente ed autorevole in scena. Molto bene anche la Musetta del soprano armeno Ruzan Mantashyan, già apprezzata nel ruolo di Susanna in una recente produzione de “Le nozze di Figaro” al Pavarotti di Modena ed al Comunale di Piacenza: tanta vezzosa malizia, ma anche proprietà nella linea di canto. Mi sembra che la giuria del “Toti Dal Monte” abbia avuto mano decisamente felice anche nella scelta degli altri due loro compagni di avventure, vale a dire lo Schaunard del baritono catanese Paolo Ingrasciotta e il Colline del basso veneto Francesco Milanese; un elogio anche all’altro giovane, Brandon Matteo Ascenzi, selezionato fuori concorso e che ha affrontato con bravura le due figure minori di Benoît e Alcindoro. Tenuto conto della limitata esperienza d’ognuno, questo cast uscito dal concorso trevigiano mi pareva degno del nostro apprezzamento, e di quello del pubblico che in effetti ha mostrato molto calore verso questi giovani interpreti.
Francesco Lanzillotta dirigeva l’Orchestra Regionale Filarmonia Veneta: concertazione di buon livello complessivo, che procedeva in maniera discorsiva e lineare, e con il pregio di conferire un buon respiro generale. Positive le prestazioni dei due cori impegnati sulla scena, il Coro Lirico Amadeus curato da Giuliano Fracasso, ed il Coro di Voci bianche dell’Associazione musicale Manzato preparato da Livia Rado.
Al termine delle tre recite, un’altra giuria si è espressa: era quella ‘popolare’ composta dagli spettatori del Comunale di Treviso che ha voluto attribuire il Premio Bellussi Valdobbiadene 2013, mediante il voto segnato in apposite schede, al soprano Nozuko Teto.
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